27/01/12

Direzione senza direzione



In tono non necessariamente allarmistico o polemico, di recente Paul Morley ha parlato della «direzione senza direzione» imboccata dalla musica moderna. Applicato alla cultura, il termine «direzione» suggerisce l’esistenza di una traiettoria lineare e progressiva.
Musicalmente parlando, è un punto di vista sempre meno difendibile. Oggigiorno, il movimento nella cultura somiglia più alla ghiera dell’iPod. Nel migliore dei casi, si può essere «progressivi» nel senso di «in anticipo sulla moda»: il cambiamento introduce una differenza che rompe con il passato immediato, ma non costituisce un progresso in quanto tale.
Poiché la storia della musica ci viene offerta come un banchetto atemporale di suoni di ogni epoca accessibili al pari della musica attuale, il tasso di passato nel presente è aumentato drasticamente.
Questa spazializzazione del tempo, però, annulla la profondità temporale; il contesto o significato originario nella musica diventa irrilevante e difficile da recuperare. La musica si fa materiale da usare a piacimento in quanto ascoltatori o artisti. Perdendo la distanza, il passato perde inesorabilmente parte del mistero e della magia.
In queste circostanze, il revivalismo diventa completamente diverso da ciò che era per movimenti di fan come il northern soul e il garage-punk. Un tempo il revivalismo scaturiva da un connubio di angoscia e rispetto: i discepoli erano davvero convinti che la musica del passato fosse migliore, e volevano tornare indietro nel tempo. Ma era anche una reazione al presente, un netto rifiuto di specifici aspetti del mondo moderno. Che i revival musicali dicano più del presente che del passato è ormai lapalissiano. Il fatto è che i revival di oggi dicono poco non solo del passato, ma anche del presente.
È questo a stupire nella musica degli ultimi dieci anni: la mancanza di affetto, e più ancora di nostalgia, con cui tanti artisti sembrano rivisitare i vecchi stili.
Mentre il passato non è più «perduto» grazie all’accesso totale della digicultura, il futuro (e con esso il futurismo e la futuristicità) non ha più la carica di un tempo. La mia inchiesta del tutto ascientifica – sondare le opinioni di mio figlio undicenne e della babysitter ventenne di mia figlia – conferma l’impressione di William Gibson sulla nuova generazione: il Futuro con la f maiuscola è un argomento
al quale sono totalmente disinteressati e a cui non pensano quasi mai. La voglia di evadere dal qui e ora e dall’insipida quotidianità di periferia non è meno forte, ma viene soddisfatta con la fantasia (lo spaventoso successo di romanzi e film a tema magico, vampiresco, stregonesco e soprannaturale) e la tecnologia digitale. Cosa gliene frega a mio figlio di come sarà il mondo nel 2028 quando oggi, anche se ci siamo appena trasferiti in California, può frequentare gli amici di New York nel cyberspazio?

Simon Reynolds, Retromania, pp. 427-428

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