Signor Hulot sul Synth Pop:
Tra i vari frammenti musicali ritornati - in modo ricombinato, contaminato o puro - negli ultimi tempi, c'è quella porzione di passato che corrisponde agli anni ottanta. Da feste revival in tema, in cui orde di ragazzini cantano a squarciagola le canzoni di Cindy Lauper o degli Eurythmics, a mucisiti che omaggiano in modo diretto il decennio sintetico per eccellenza, riprendendo suoni e timbri inconfondibili: basta guardarsi un po' attorno per riascoltare e rivedere cose che avremmo pensato morte e sepolte da tempo. Drum machine Roland TR-808 in gran spolvero, sparsi battiti elettronici, sequencer rudimentali, tastiere Casio comprate su eBay; e poi sneakers alte e colorate, felpe con le spalle imbottite, loghi fluorescenti, quattordicenni che non sarebbero stonate nei video di Madonna del periodo. Potremmo collegare a questo anche il ritorno del brand Fiorucci negli scaffali della grande distribuzione e l'abbondanza di colori primari spalmati sulle magliette e sui cappellini da baseball. Su un altro versante, riappaiono i ragazzini magrissimi con i jeans tipo seconda pelle, i capelli lunghi sulle spalle e le magliette dei Metallica (epoca Kill'em All) e degli Anthrax (perché gli ottanta erano anche gli anni del thrash, non dimentichiamolo).
Lo stesso Reynolds, tracciando una continuità filologica con la scena Electroclash dei nineties (ma le provocazioni concettuali e coreografiche di Fischerspooner erano altra cosa) dedica alcuni passaggi di Retromania al ritorno del pop elettronico e sintetico che, con personaggi come Human League, Yazoo, Visage, Depeche Mode e compagnia aveva fatto scoprire il cuore in fondo ai battiti elettronici nella prima metà degli anni ottanta. E il synth pop è stato soprattutto questo, la versione orecchiabile del connubio uomo-macchina di impronta kraftwerkiana, melodie orecchiabili e calori romantici che duettano con la freddezza dei suoni elettronici e con la spiccata artificiosità del look e delle situazioni. Ecco allora, tra i segnali della rinascita (anzi, dell'"infinito revival", come viene definito in Retromania), il pastiche madonniano postmoderno di Lady Gaga, le perle pop di La Roux e Little Boots (che avrebbero scalato qualsiasi classifica attorno all'84), le tessiture sintetiche sognanti e nebbiose – con ampie sfocature shoegaze - di School of the Seven Bells e M83 o, per spostarci in Francia, le scatenate performance di Yelle con il suo ciuffo asimmetrico e la commistione synth-disco. Per non parlare di muscisti come gli XX che partono dal pop sintetico per declinarlo in deliziose tinte dark quasi lynchiane. Il solito geniale Reynolds fissa in modo folgorante questa strana rinascita in poche righe di una delle sue retrologie: "2010/Ottobre, a ventisette anni dalla fine del fenomeno, Elly Jackson dei La Roux si accorge che il synthpop è «morto e sepolto. Lo adoravo ma adesso mi annoia. Non voglio più fare synth per il resto della mia cazzo di vita. Se vedo qualcos'altro a tema anni ottanta, esplodo» >>>> 2010/Ottobre: i Darkstar, nuova promessa post-dubstep, pubblicano una cover di Gold del 1982, un lato B degli Human League".
La Roux - In For The Kill
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