31/10/11

Economia e politica del sample #1



Nuovo post del Signor Hulot, questa volta alle prese con il tema dei sample e della lettura che ne fa Simon Reynolds in Retromania:

Il tema più esplicitamente politico del libro viene fuori proprio nell'ultima parte di Retromania, con la critica del concetto di sample (o meglio, la critica dell'elogio indiscriminato del sample come momento di liberazione dalle strettoie della musica suonata) in relazione alla gentrification. Il termine viene utilizzato in ambito sociologico e urbanistico per descrivere un fenomeno molto specifico: i bianchi arrivano nelle zone residenziali in cui vivevano i neri e questi vanno via, come nel gioco dei quartieri delle grandi città che diventano a turno zone bene o zone male a seconda che ci vivano bianchi (o la borghesia nera) oppure neri e working class. In generale, è un fenomeno per cui una classe più abbiente acquisisce beni di una classe meno abbiente a basso prezzo in zone squalificate, per poi riqualificarle facendo salire il prezzo (e allontanando in questo modo gli abitanti originari). Specchio perfetto di questo fenomeno è un certo tipo di trip-hop che, dopo essere stato la musica delle crew di Bristol, è diventato poi qualcosa di pericolosamente simile a una musica lounge per gli anni novanta, cocktail music da ascoltare in sottofondo mentre si prende un mojito (un po' come l'acid jazz), magari poco prima di andare a ballare in spiaggia. Da musica da strada a musica per party dei ragazzini bene. Questa deriva del trip-hop (SR lo dice anche in Energy flash) è un perfetto caso di gentrification, in cui il dj o il musicista (spesso bianco o comunque benestante) si riappropria, sia pure per un atto di amore, dei beat dell'hip-hop nero per utilizzarli all'interno di un contesto diverso.
Per dirla in modo brutale, è così liberatorio o rivoluzionario che un ragazzino che ha ricevuto un sampler in regalo per Natale campioni un beat suonato in carne ossa e sudore da un session man sottopagato negli anni settanta? Reynolds lavora attorno a questa domanda senza arrivare a una risposta definitiva. La questione fa problema, non porta soluzioni troppo facili. Certo è che dopo anni di retorica "liberatoria", secondo in cui il sample era la rivincita dell'underdog, il sottoproletario musicale privo di qualsiasi formazione o competenza tecnica che, grazie al piatto da dj, a un sampler o a un sintetizzatore, riesce ad appropriarsi della musica suonata da altri per usarla come elemento combinatorio all'interno della sua creazione, la questione sembra ribaltarsi. I veri "proletari" sembrano essere i musicisti che hanno suonato realmente la musica, mentre sono gli utilizzatori dei sample ad essere dalla parte del "potere" e a prelevare con un solo click il frutto del lavoro altrui. Il linguaggio che Reynolds utilizza per parlare di questo fenomeno è provocatoriamente asettico e clinico: "La «sostituzione sonora» fa pensare alla sostituzione artificiale di una parte del corpo, e in effetti la precisione e la sterilità della procedura [di sampling] ricordano la più avanzata chirurgia dei trapianti di organo, dei tessuti artificiali e delle protesi". (pag. 327).
Questa asetticità emerge bene in Safe From Harm, dei Massive Attack (certo un esempio di trip-hop di altissimo livello), in cui si usa un frammento di Stratus di Billy Cobham, spogliato dalle digressioni jazz, per farlo diventare puro concentrato ritmico. Il detournement del battito originale diventa, allo stesso tempo, un omaggio all'originale, ma anche un tradimento dell'intenzione del musicista. Ma ci potrebbero essere infiniti altri esempi, penso solo all'uso del funk rock di Release the beast dei Breakwater da parte dei Daft Punk (in Robot Rock): perde in groove e acquista potenza mutante. Che in questo modo il sample dia una nuova vita all'originale o che sia un modo per imbalsamarlo e sterilizzarlo, è una questione che rimane aperta. 


Breakwater - Release the Beast

 


Daft Punk - Robot Rock

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