30/11/11

Musica e memoria nell’era di YouTube


Osservando YouTube da un punto di vista prettamente musicale, sono due gli aspetti che più sorprendono di questo nuovo mezzo di (post-)trasmissione. Il primo è il fatto che YouTube sia diventato una miniera di apparizioni televisive e filmati rarissimi un tempo gelosamente conservati e scambiati dai fan più accaniti. Tramite gli annunci sulle ultime pagine di Goldmine o Record Collector e le comunicazioni via fanzine o posta, i fan barattavano o vendevano le videocassette, copiate e ricopiate tante volte che l’immagine di Elvis o Bowie era ormai così distorta da essere quasi irriconoscibile. Oggi è tutto su YouTube, a disposizione gratuita di chi abbia voglia di cliccare.
Se penso a quanto mi sarebbe tornato utile mentre scrivevo Post-punk 1978-1984 (terminato circa diciotto mesi prima del lancio di YouTube, nell’inverno del 2005), le emozioni sono contrastanti: una frustrazione retrospettiva bilanciata da uno strano senso di sollievo. Sarebbe stata una risorsa eccezionale, ma con quanta facilità avrei potuto perdermi negli innumerevoli clip dal vivo, nei vecchi video e negli spezzoni televisivi.
L’altra evoluzione davvero interessante nell’ottica musicale è il modo in cui i fan hanno trasformato ampie regioni di questo videoarchivio in un semplice catalogo di documenti audio, caricando brani accompagnati da figure astratte in movimento stile screen-saver o immagini fisse (in molti casi una semplice istantanea della copertina del disco o dell’etichetta, oppure una ripresa sgranata del disco che gira sul piatto). Interi album vengono messi su YouTube, con la stessa immagine generica e casuale a fare da sfondo a tutte le canzoni. La combinazione di video musicali e file audio ha fatto di YouTube una biblioteca pubblica del suono registrato (per quanto disorganizzata e caotica, con poche lacune ma piena di ripetizioni e «copie danneggiate»). Si può persino «prendere in prestito» senza restituire, utilizzando programmi come Dirpy per convertire i video in mp3.
YouTube è molto più facile da consultare della mia enorme e disordinata collezione di dischi. Mi è addirittura capitato di scaricare dal web album che avevo già per evitare la fatica di mettermi a cercare negli scatoloni. E chi se ne importa se la qualità sonora del cd e del vinile è decisamente superiore: chi ha fretta si accontenta dell’mp3 (nel mio caso di solito ho bisogno di controllare qualche dettaglio specifico, di fatto trattando la musica come banca dati e non più come esperienza sonora coinvolgente). Lo stesso YouTube è un esempio di questo genere di compromesso tra qualità e convenienza, tipico della cultura digitale. «La qualità audio-video è pessima» osserva Hilderbrand, sottolineando come la definizione che appare tollerabile nella piccola finestra riveli tutta la pochezza della bassa risoluzione in modalità «schermo». Ma proprio come gli ascoltatori hanno accettato il sound esile e «inferiore» dell’mp3 grazie alla compattezza e alla facilità di scambio, nessuno sembra preoccuparsi della fedeltà ridotta della visione via computer (per giunta proprio mentre la tecnologia si muove in direzione contraria con la tv in alta definizione, gli impianti home-theatre in surround 5.0, i film in 3D e via dicendo).
In compenso, l’archivio online ci offre una possibilità d’accesso, un volume e una varietà ampiamente superiori in termini di quantità, se non di qualità. Abbiamo inoltre a disposizione il controllo della durata sotto il video, il che ci consente di trascinare rapidamente la barra di scorrimento fino al momento chiave del filmato (o della canzone). YouTube è un contenitore di stralci fondato sulla frammentazione di narrazioni più lunghe (il programma, il film, l’album), ma questa funzione ci incoraggia, in quanto spettatori, a scindere gli spezzoni culturali in unità ancora più piccole, erodendo insidiosamente la nostra capacità di concentrazione e la nostra volontà di lasciare che le esperienze si dischiudano. Ma è internet in quanto tale a rendere più fragile e incostante il nostro senso della temporalità: piluccando i dati senza posa, saltelliamo nervosamente qui e là in cerca del prossimo zuccherino istantaneo. YouTube incoraggia questa deriva per mezzo della barra laterale, l’elenco dei video ritenuti – spesso in virtù di una logica contorta – affini a quello che stiamo guardando. È difficile non cedere a una modalità di osservazione distratta e distaccata, a metà tra il navigare e lo zapping (se non fosse che il canale è sempre lo stesso, YouTube, ormai diventato una regione dell’impero di Google, che lo acquistò nell’ottobre 2006). Questa fuga a zigzag non collega solo un artista all’altro e un genere all’altro, ma è anche un viaggio nel tempo: i video- prodotti delle varie epoche sono mescolati indiscriminatamente e inseriti in un reticolo di link incrociati.

Simon Reynolds, Retromania, p. 89-91

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