08/08/11

L'ora del pop



Sul blog Signor Hulot un post interessante sul rapporto tra la storia della musica, il passato e il presente:

Reynolds parla della nowness del pop, il rapporto tra cultura pop e tempo presente. In poche parole, a lungo il pop è stato inseparabile dalla sua capacità di mettersi in relazione con la propria epoca e di contribuire a definirla. Difficile pensare a un racconto sugli anni sessanta o sui movimenti di protesta in america o sull'edonismo degli anni ottanta senza pensare ai Beatles, a Bob Dylan o, poniamo, ai Duran Duran. Ora, lo strano effetto è quello di una cultura pop che sembra fluttuare attraverso il tempo, senza connettersi in modo diretto al senso dell'"Adesso". La nowness del pop, intesa come sua qualità primaria, corre attraverso un tunnel temporale. Essere pop, oggi, vuol dire riprendere il carattere iconico di Madonna (Lady Gaga), suonare come nella New York della fine degli anni settanta (Strokes), riattivare il garage blues (White Stripes), rispolverare il pop di coppia degli anni sessanta (le innumerevoli configurazioni del tipo duo lei-lui, da She & Him a Cat's Eyes). Persino riprendere il testimone di Crosby Stills Nash &Young e della West Coast (Fleet Foxes) o di oscure esplorazioni della tradizione folk (Devendra Banhart o Joanna Newsom). Non si tratta di semplici pastiche da parte di artisti che saltano da un genere all'altro in una sorta di deriva postmoderna che corre attraverso una miriade di temporalità musicali. Abbiamo davanti agli occhi delle fissazioni su determinate epoche passate del pop, piccole nevrosi in forma di canzone. Retromania è in fondo un viaggio in questa strana temporalità a due strati: sempre uno strato passato che appare sotto l'attuale, producendo una percezione sfalsata, leggermente spaesante. Da qui l'idea che mi rimane con più forza, leggendo il libro: che ci sia una sorta di storia sotterranea del pop, fatta di affioramenti e cancellazioni, diversa da quella – più rettilinea – che siamo abituati a sentirci raccontare.

Una breve carrellata di video degli artisti citati nel pezzo può aiutarci a capire meglio cosa intende:








4 commenti:

  1. Sono dell'idea che sì, ci siano alcuni problemi per quanto riguarda il pop attuale nel cogliere la "nowness", lo zeitgeist o chiamiamolo dove vogliamo. Ma resta da capire perché in un discorso del genere si mettano assieme sia dati puramente testuali (White Stripes, Fleet Foxes, Joanna Newsom) a dati contestuali (Lady Gaga o Strokes). Forse la "nowness" è data proprio da questa impossibilità di essere "now". Oppure va ricercata da altre parti. Sono dell'idea che una band come gli Arcade Fire sia proprio legata a questo concetto, così come tutto quel versante di hyper-pop canadese. Per dire che ormai lo show-biz sembra ovattato e simulacrale così da garantire una sorta di "sospensione del tempo" (o dell'incredulità) mentre la "nowness", a questo punto, potrebbe essere cercata in luoghi in cui la riflessione possa squarciare quella sorta di velo. O qualcosa del genere. In ogni caso è un ragionamento che merita di essere sviluppato.

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  2. Dici bene sostenendo che non si tratta di una deriva postmoderna. Ma cos'è allora? Le variabili che intercorrono sono molteplici. Ogni grande rivoluzione tecnologica altera in qualche modo l'ontologia stessa dell'essere umano. E' come se s'insinuasse persino nella nostra storia, trasformandola. L'avvento di Internet, della telefonia mobile, dei social network, ha avuto - per esempio - pesantissime ripercussioni, a mio avviso, sulla percezione del mondo, dello stato di cose ovvero dell'arte stessa. Lo sfalsamento che ne consegue non inficia la pulsione all'atto creativo - che in qualche modo muove da una sorta di istinto "animale" aprioristico - bensì i suoi contenuti, che dunque devono essere ricercati nelle suggestioni passate. E' anche vero, d'altra parte, che il concetto di "originalità" è nato da Shakespeare in poi. Prima l'arte era un continuo rimando, un continuo citarsi, un continuo riprendere l'idea dell'altro. L'avvento dell'era digitale ci ha in qualche modo - a mio avviso un modo “distorto” - messi in contatto con quella qualità tribale che risiede in noi, che ci caratterizza, e dunque con quella "circolarità", quella "ciclicità" (le storielle tramandate oralmente in cerchio attorno al fuoco), che invitano allo scambio, al baratto, al riciclo e alla consustanziazione delle idee – proprio come accadeva un tempo, prima che si dovesse essere a tutti i costi “originali”, prima che la storia iniettasse delle così massicce porzioni di ego nell’arte. Ma questa è solo una fra le possibili variabili, come dicevo all’inizio. L’analisi richiede maggior tempo, maggiore spazio, un’osservazione più attenta. Un caro saluto, Roberto.

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  3. Commenti e punti di vista molto interessanti, grazie dei contributi.

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  4. Ciao ragazzi, grazie dei commenti. Riprendo solo alcuni dei vostri spunti.
    @Hamilton Santià: Interessante la distinzione tra testuale e contestuale. La continua retroproiezione sul passato porta a rimescolare le carte. Per i Fleet Foxes, ad esempio, è altrettanto importante suonare come una banda di post hippie del Laurel Canyon quanto assumere anche i segni dell'iconografia dell'epoca, come le barbe, ecc. SR distingue proprio questo tipo di recupero “letterale” dai musicisti che, riprendendo certe tradizioni, le elaborano creativamente. C'è una “hipness” del retro che va spesso assieme al recupero di superficie di abiti vintage. Lo stesso vale per il suono, con il culto degli amplificatori a valvole o di “certe” chitarre o “certi” suoni. Il post punk, come esempio di momento di rottura e di contatto con il “now”, cercava invece di suonare freddo per distinguersi proprio dal retrogusto blues rock.
    @robertotulino: in effetti il tema sotterraneo è quello della tecnologia, che nel momento in cui rende tutto accessibile trasforma i fruitori in cercatori ossessivi, ottundendo a volte la spinta a cercare qualcosa di nuovo. Reynolds si chiede “la cultura può esistere in assenza di limiti?” Interessante il tema della ritorno della “tribù”, la circolarità dello scambio e l'abbandono dell'autorialità. Il tema è enorme, ma provo a sottolineare una differenza: la tribù rappresenta un'idea di comunità circoscritta, con un senso di appartenenza forte, tradizioni e linguaggi condivisi. Ora siamo in una tribù basata sulla deterritorializzazione (che in fondo non è male) o sulle nicchie di mercato (che mi pare peggio).

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